Visita Santa Maria della Catena
Nell'angolo nord-orientale della piazza Marina, tra il Cassaro morto e la Cala. Lo spiazzo della catena. Di forma irregolare, era compreso tra la chiesa di S. Giovanni dei Napoletani, il palazzo della Zecca, la chiesa della Catena e la porta della Doganella ed era attraversato dal Cassaro. Prima delle distruzioni del secolo scorso formava un raccolto angolo cittadino cui il terreno in declivio conferiva unità scenografica. Un terrapieno isolò inopportunamente, all'angolo orientale dello spiazzo, il palazzo della zecca, una massiccia costruzione del 1699, trasformata ed ampliata a metà dell'Ottocento dall'architetto Giuseppe Selvaggio. Alla fine del secolo scorso fu demolita la bella porta della doganella (1628) che dava accesso alla Cala. Nel 1701 fu posto al centro dello spiazzo il monumento di filippo V, disegnato da Paolo Amato, con la statua marmorea del re scolpita da G. B. Ragusa. Essa vi stette fino al 1786 e sostituita nel 1799 da quella di Filippo IV che fu distrutta poi durante i moti del 1848. La chiesa. Sorse nei primi due decenni del sec. XVI nel luogo di una più antica chiesetta. Qui era uno sperone di terra che, con l'altro opposto di Castellammare, formava l'ingresso all'antico porto, così stretto da potersi chiudere con una pesante catena. L'ingegnoso sistema difensivo non impedì tuttavia ai Pisani di penetrare, nel 1063, nel porto, di incendiare alcune navi saracene e di fare ingente bottino. La chiesa è uno dei più alti e coerenti documenti del gotico siciliano derivato da quello coevo del levante spagnolo ma altresì attento ai valori trasmessi della tradizione locale risalente all'età normanna. La pietra intagliata è nerbo ed assenza vibrante di questo organismo architettonico omogeneo e coerente. L'esterno è unitario e geometricamente definito; lo inquadra un forte telaio di membrature e lo arricchisce una elegante decorazione lapidea. Il portico è un elemento ispanizzante il cui antecessore immediato è l'altro della cattedrale palermitana. Lo si guardi eliminando idealmente la scalinata recente. Due asciutti pilastri inquadrano tre archi fortemente saomati. La finezza dei capitelli è analoga a quella dei rilievi dei tre sottostanti portali attributi per tradizione a Vincenzo Gagini. Essi recano eleganti festoni e, sull'architrave, scene evangeliche tra re, profeti, angeli ed evangelisti. L'interno, spogliato all'inizio di questo secolo dagli stucchi settecenteschi, è stato recentemente restaurato dopo i danni dell'ultima guerra. Esso ha organismo di gotica fermezza ma d'equilibrata staticità e misurata armonia. Lo slancio delle colonne è accentuato dai piedritti ma smorzato dalla linea scema degli archi, robusto elemento di moderazione. La nave maggiore è chiusa da volte a crociera ogivale mentre quelle laterali hanno voltine a botte. Planimetricamente la chiesa si rifà alla tradizione locale risalente all'età normanna: ha triplice spartizione longitudinale e rilievo, anche altìmetrico, del santuario. Questo è suddiviso da strutture in aereo gioco ispirato a quello del distrutto santuario della cattedrale palermitana. Colonne sovrapposte nelle inserzioni delle absidi sono elemento decorativo più che tettonico. I capitelli hanno chiaroscufinezza di rilievo e varietà di forma: taluni plinti di colonne hanno un intaglio prezioso di geometrica essenzialità. I restauri di liberazione non hanno del tutto cancellate entro la chiesa i segni della storia; questi sono visibili nelle varie targhe, nelle lapidi e nei monumenti funebri. Gli stucchi settecenteschi sono ancora presenti nelle cappelle del lato d. che conservano gli affreschi di O. Sozzi.
Tratto da Giuseppe Bellafiore