Museo Pitrè - Palermo da vedere

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Visita Museo Pitrè

costumi tradizionali
alcuni pezzi del presepe di terracotta del plasticatore trapanese Giovanni Matera (leggimi)
esposizione dedicata a Santa Rosalia (leggimi)
collezioni varie
particolari
collezioni giocattoli antichi
Arti, mestieri, venditori, e botteghe
Museo Etnografico Siciliano Giuseppe Pitrè

Il Museo Etnografico Siciliano "Giuseppe Pitrè", fondato nel 1909 dallo studioso siciliano Giuseppe Pitrè, è un ente di diritto pubblico di proprietà del Comune di Palermo. Ha due sedi: una in Viale Duca degli Abruzzi, nel Parco della Favorita, e l'altra in Via Delle Pergole nel Palazzo Tarallo, nel quartiere dell' Albergheria.

La sede originaria consisteva in quattro sale all'interno di una vecchia costruzione scolastica di via Maqueda, il Collegio dell’Assunta, dove però i reperti non poterono essere ordinati secondo quella che era l'idea di allestimento del suo fondatore. Dopo la morte del Pitrè (1916), per anni le collezioni rimasero inaccessibili al pubblico, fino a quando, nel 1935, Giuseppe Cocchiara riorganizzò e trasferì il museo in una delle dipendenze della Casina Cinese nel Parco della Favorita.
In questo luogo, le collezioni hanno trovato opportuna collocazione, con una nuova suddivisione dei reperti in sezioni, rispondenti a criteri di maggiore scientificità, nel rispetto delle impostazioni a suo tempo desiderate - ma mai concretizzate - da Pitrè. Cocchiara offrì un largo resoconto di tale sistemazione nell'opera che ha per titolo: La vita e l’arte del popolo siciliano nel Museo Pitrè. Al momento nel Museo sono in corso lavori di restauro di parte delle collezioni, pertanto alcune sale risultano chiuse ai visitatori. La struttura è composta da un edificio, antistante ad uno spiazzo, diviso da un piano terra che è sede delle sale di esposizione ed un primo piano che è sede degli uffici e dei depositi. All'interno sulla destra la biglietteria, riferimento anche per le informazioni e l'eventuale invio al personale addetto. Il Museo si trova all'interno di un ampio e curato giardino visitabile gratuitamente. Il Museo risulta così strutturato: un baglio al centro di un crocevia di cortili, costeggiato da una fuga di 30 sale. Dal 2007 è stata inaugurata la seconda sede del museo, nello storico Palazzo Tarallo di Ferla - Cottone d’Altamira, nel quartiere dell' Albergheria. L’esposizione permanente, allestita nel piano nobile del palazzo, ospita portantine e mobili settecenteschi, il teatrino dell’ Opera dei Pupi, la "stanza della memoria", dedicata a Giuseppe Pitrè, e parte dei volumi della Biblioteca, in particolare i fondi riguardanti le tradizioni popolari, la storia e l’architettura siciliana.

Nelle sale del museo, articolate in 20 sezioni, trovano documentazione gli usi e i costumi del popolo siciliano, compresa la minoranza etno-linguisticha albanese, e le credenze, i miti, le consuetudini, le tradizioni di Sicilia (la casa, filatura e tessitura, arredi e corredi, i costumi, le ceramiche, l’arte dei pastori, caccia e pesca, agricoltura e pastorizia, arti e mestieri, i veicoli, il carretto siciliano, i pupi, il carro del festino, le pitture su vetro, le confraternite, i presepi, tra i quali spicca l’opera dell’artista trapanese Matera, i giochi fanciulleschi, la magia, gli ex voto, pani e dolci festivi.). Inoltre, in una sala troviamo la grande cucina dei Borboni che, a prescindere dalla superficie, ben rappresenta le cucine tradizionali siciliane. Il Museo abbraccia circa 4.000 oggetti, provenienti da un nucleo originario costituito dal Pitrè di circa 1.500 reperti, dalle collezioni etnografiche cedute dall'ex Museo Nazionale di Palermo e da donazioni private. L’attuale ordinamento dei reperti rispecchia quella curata da Giuseppe Cocchiara, direttore del museo dal 1935 al 1965. I reperti sono esposti in vetrine tematiche e ciascuno è accompagnato da didascalie che forniscono informazioni relative al nome del reperto, alla sua provenienza, all’epoca di appartenenza, al suo uso, al numero di inventario, ecc. Le vetrine, così allestite, sono concentrate nelle varie sale, dedicate ciascuna al tema generale di riferimento delle singole vetrine. L’illuminazione è esterna alle bacheche. All’interno di ogni sala anche una locandina che descrive il tema rappresentato dai reperti lì contenuti. I grossi reperti sono esposti al di fuori dalle teche, così come le statuette del presepe sistemate in banchi sovrapposti, in una sala appositamente illuminata da faretti direzionali. Il percorso museale inizia con alcune rappresentazioni di abitazioni sia rurali che urbane. Fra questi, il più remoto 'u pagghiaru, forma primitiva dell' architettura rustica siciliana. Gli altri archetipi di abitazione contadina sono dimostrazione della differente disposizione dello spazio domestico, in rapporto alle diverse possibilità di quel ceto. Perciò, le abitazioni più povere erano caratterizzate da un unico ambiente nel quale si trovavano a convivere uomini e animali e all'interno del quale erano svolte tutte le attività domestiche. Maggiore agiatezza si rivela invece nell'abitazione in due piani suddivisa da un rudimentale soppalco che fungeva da zona letto, talvolta suddiviso in due o tre locali minori. Gli archetipi sono completi anche delle miniature delle suppellettili necessarie: il giaciglio ('u jazzu) nel pagliaio, il letto, formato da trispiti e tavole, nelle case in muratura, semplici sgabelli, sedie e tavoli, strumenti da lavoro ed il caratteristico settimino.

Tratto da Wikipedia
Giuseppe Pitrè
 
Giuseppe Pitrè (Palermo, 22 dicembre 1841 – Palermo, 10 aprile 1916) è stato uno scrittore, medico, letterato ed etnologo italiano.

Noto soprattutto per il suo pionieristico lavoro nell'ambito del folclore siciliano, la museografia e la cultura materiale, fu il più importante ricercatore e studioso di tradizioni popolari siciliane, nonché l'iniziatore degli studi folklorici in Italia. Giuseppe Cocchiara, etnologo e preside della Facoltà di Lettere e Filosofia di Palermo nonché prosecutore della sua opera, disse di lui: «… la sua opera monumentale resta pietra miliare per la ricchezza e la vastità d'informazioni nel campo del folclore, in cui nessuno ha raccolto “come e quanto” lo scrittore palermitano…».

Nella seconda metà dell'Ottocento, aprì la via al lavoro di altri etnologi della scuola palermitana di etnologia (tra cui Giuseppe Cocchiara, Salvatore Salomone Marino ed altri), di cui è indubbiamente il fondatore, oltreché esser stato d'ispirazione sia a Luigi Capuana, che nel suo repertorio trovò materiale per le proprie fiabe, sia a Giovanni Verga, che si ispirò a lui per le «tinte schiette» e le particolari usanze del suo mondo di umili e perfino per argomenti specifici di alcune novelle come Guerra di Santi. Rosa Balistreri inoltre musicò versi tradizionali presenti nei suoi studi per dar vita ad alcune canzoni popolari del suo repertorio.

Nel 1914 fu nominato senatore del Regno d'Italia.

Negli anni ottanta (D.P.R. 27.05.1985 e D.P.R. 06.03.1986) lo Stato italiano, vista l'importanza delle sue opere, decise di finanziare una nuova realizzazione dell'opera omnia, in una "Edizione Nazionale" di tutti i suoi scritti, sulla base del precedente lavoro diretto da Giovanni Gentile negli anni '40.

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Giuseppe Pitrè nacque a Palermo in via Collegio di Maria al borgo (dove al numero civico 83 una lapide lo ricorda), rione Santa Lucia, il 22 dicembre 1841, da famiglia umile: il padre Salvatore, marinaio, morì di febbre gialla a New Orleans nel 1847, mentre la madre, Maria Stabile, era anche lei figlia di marinai. Giovanissimo, prese parte nel 1860 all'impresa di Garibaldi in Sicilia nelle file della Marina garibaldina.

Nonostante le ristrettezze economiche, anche con l'aiuto di un prete amico di famiglia, la madre riuscì dapprima a fargli conseguire il diploma liceale in studi classici presso un istituto dei gesuiti di Palermo, quindi la laurea in medicina e chirurgia all'Università di Palermo nel 1865.

Dopo un breve periodo di insegnamento nei licei palermitani, esercitò come medico per l'intera vita – che costituì quello che sarà il cosiddetto lavoro sul campo etnologico – venendo così a contatto con i ceti popolari più umili (si distinse, in particolare, durante il periodo di colera che colpì Palermo, curando i più bisognosi della città), col mondo dei marinai e dei contadini, da cui raccolse preziosi dati per i suoi studi etnologici. In particolare, tra di loro, spinto dalla passione per gli studi storici e filologici (che iniziò già quand'era studente, con la pubblicazione della sua prima opera compiuta Profili biografici di contemporanei italiani del 1864), raccolse, in testo, i Canti popolari siciliani attinti anche dalla voce della madre, a cui rimase sempre fortemente legato e che egli dice “era la mia Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane”, dedicandole appunto questa sua prima opera (del 1868). Il suddetto lavoro confluì poi, tra il '70 e il '71, nei due volumi di quella monumentale Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane pubblicata in venticinque volumi fra il 1871 e il 1913. Tale opera, la più importante della sua produzione e su cui lavorò per quasi quarant'anni, comprendente tra l'altro canti d'amore, di protesta (legati alle stagioni e alle varie culture), giochi, proverbi, motti e scongiuri, indovinelli, fiabe, spettacoli, feste, ricette di medicina popolare, leggende, cartelli, pasquinate, usi nuziali, nonché costumi, usanze, consuetudini e tradizioni della famiglia, della casa e della vita del popolo siciliano, costituì il primo trattato completo, dal punto di vista etnografico ed etnologico, su tutte le manifestazioni del folclore siciliano.

Nel 1877, si sposò con Francesca Vitrano, che gli diede tre figli: Maria (nata nel 1878), Rosina (nata nel 1885) e Salvatore (nato nel 1887). Ma la morte prematura degli ultimi due, Rosina deceduta nel terremoto di Messina del 1908 e Salvatore morto per un avvelenamento da cibo, procurarono al Pitrè grande dolore e sofferenza negli ultimi anni della sua vita.

Collaborò proficuamente con l'amico e collega Salvatore Salomone Marino, col quale fondò nel 1880, dirigendola fino al 1906, la più importante rivista di studi sul folclore del tempo, l'Archivio per lo studio delle tradizioni popolari, fra le prime riviste etnografiche italiane metodologicamente improntate al positivismo. Intrattenne anche una fitta corrispondenza con studiosi di tutto il mondo, con un epistolario le cui lettere sono oggi conservate in una sezione del museo etnografico di Palermo, che rappresenta una notevole testimonianza dell'importanza raggiunta dal Pitrè non solo a livello nazionale, ma anche internazionale (pur restando, pressoché per tutta la vita, nella sua amata Palermo).


Nel 1903, «per i suoi indubbi meriti nel campo degli studi sulle tradizioni siciliane, Pitrè fu nominato Presidente della Reale Accademia di Scienze e Lettere di Palermo, carica che disse sempre d'aver retto con animo “imparziale ed alieno da chiesuole”». Il 16 febbraio 1909 fu pure eletto socio dell'Accademia della Crusca. Fu inoltre presidente della Società Siciliana per la Storia Patria e segretario della Reale Accademia delle scienze mediche.

Come sostenne Cocchiara, la vasta opera del Pitrè, che diede il via alla museografia scientifica ed agli studi di cultura materiale, oltre a rimanere un esempio impareggiabile di raccolta e sistemazione, nonché una base precipua per i successivi studi folclorici, presenta due aspetti principali, uno storico e l'altro "poetico", rivelando tra l'altro «un'umanità viva e vibrante» ragion per la quale egli era convinto fosse giunto il momento di studiare con rigore, amore e pazienza le memorie e le tradizioni popolari, per custodirle e tramandarle. Da tutto ciò, nel 1910 venne aperto il primo museo etnografico siciliano (ed uno dei primi del territorio nazionale), dove raccogliere, catalogare e sistemare tutti i reperti, i materiali e gli oggetti frutto delle sue pazienti ricerche condotte (direttamente da lui stesso o per il tramite dei suoi numerosi collaboratori) in tutta la Sicilia, in una sede dapprima non molto ampia, ma poi allargata e ristrutturata nel 1935 per volere di Cocchiara. Il museo oggi porta il suo nome ed è ospitato nelle ex-stalle della Palazzina Cinese, all'interno del Parco della Favorita di Palermo.

Sempre nel 1910, il Pitrè fu chiamato ad insegnare demopsicologia (come lui era solito chiamare il folclore) all'Università di Palermo, quando già aveva acquisito solida notorietà e numerosi apprezzamenti in Italia e all'estero, prima cattedra italiana del genere il cui insegnamento era sempre più orientato verso l'indirizzo evoluzionistico e non più a quello storico-filologico (qual era nella tradizione folklorica italiana dell'epoca) degli inizi. Innamorato della sua terra e della sua città natale, scrisse anche Palermo cento e più anni fa, prezioso e introvabile volume, nonché dei saggi su Meli, su Goethe a Palermo, e sulla Divina Commedia, raccogliendo a tal proposito novelle popolari toscane.

Per i suoi meriti e la sua fama, fu nominato Senatore del Regno d'Italia il 30 dicembre del 1914, quando anche in America venivano tradotte e pubblicate le sue opere per le Edizioni Crane, soprattutto proverbi e fiabe, le cui radici comuni a tanti popoli egli aveva individuato ed esaltato, rimarcando, in una lettera a Ernesto Monaci, la loro ricchezza linguistica con queste parole: «Che bellezza, amico mio! Bisogna capire e sentire il dialetto siciliano per capire e sentire la squisitezza delle fiabe che sono riuscito a cogliere di bocca ad una tra le mie varie narratrici». Altrettanto belle le pagine dedicate alle storie dì Giufà, personaggio della tradizione popolare siciliana.

Il 12 febbraio 1915, nella sua qualità di maremmiere secolare, unitamente al marammiere ecclesiastico Mons. Giuseppe Lagumina, del sotto-marammiere beneficiale Baldassare Mangione, del cappellano Lorenzo Lo Verde e di pochi privati cittadini, presenziò all'apertura della tomba di porfido di Ruggero II nella cattedrale di Palermo. Il Pitrè era legato da profonda e antica amicizia sia con Mons Lagumina, che considerava un punto di riferimento importante per i suoi studi, sia con suo fratello Bartolomeo. Il Lagumina riuscì a derimere una divertente questione tra Pitrè e Gioacchino Di Marzo relativamente alla fioritura della verga di San Giuseppe. Lagumina spiegò a Pitrè che si trattava di «una leggenda ebraica» e gli fornì le delucidazioni richieste.

Morì a Palermo, il 10 aprile del 1916.

Tratto da Wikipedia
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