Storia di Palermo
tratto da "Guida della città e dei dintorni" del
Prof. Giuseppe Bellafiore
tratto da "Guida della città e dei dintorni" del
Prof. Giuseppe Bellafiore
II sito dell'antica città. Palermo nacque sui margini marini di una vasta conca resa fertile dalla clemenza del clima e dall'abbondanza di acque. I primi coloni vi trovarono facili approdi alle foci dei numerosi fiumi. Due di questi erano particolarmente importanti: l'uno, scendendo da ovest per i Denisinni, si allargava nella depressione del Papireto, del Capo, di S. Onofrio e della Conceria e sfociava nel mare congiungendo le sue acque all'altro che, scendendo dalla fossa della Garofala a sud-ovest, lambiva alla sua destra l'anfrattuoso terreno dell'Albergarla, inondava i Lattarini e finiva nel mare poco oltre i Quattro Canti di via Roma,; II primo, detto Papireto, era alimentato da parecchie sorgenti ed aveva regime quasi stabile e perenne vegetazione di papiri da cui il suo nome; l'altro, detto dagli Arabi « fiume del Maltempo » e più recentemente Kemonia, era a regime torrentizio. Entrambi erano poco profondi ed insensibilmente, per tutto il medio evo, andarono colmandosi. Nel sec. XVI le loro foci erano già interrate e l'antico approdo s'era ristretto alla Cala attuale. L'antica situazione geografica generò probabilmente il nome di Palermo, derivato dal greco « Panormos » cioè tutto-porto.
Le colonizzazioni pre-romane (sec. VIII - 254 a. C.). Tra il Kemonia ed il Papireto sorgeva, poco elevata, una penisola lunga un chilometro e larga la metà. L'approdo alle sue coste era facile ed essa era agevolmente fortificabile. I Sicani nel terzo millennio, i Cretesi nella seconda metà del secondo millennio, gli Elimi attorno al sec. XII a. C. e quindi i Greci nell'VIII secolo si stabilirono, più o meno precariamente, su quella penisoletta. Tra l'VIII ed il VII secolo avvenne la massiccia colonizzazione dei Fenici di Cartagine. Nel secolo vi una forte cinta di mura fu gettata attorno alla zona dell'attuale palazzo reale, di piazza Vittoria, del quartiere militare di S. Giacomo e del palazzo arcivescovile (Paleopoli) ; due secoli dopo fu fortificato robustamente il restante territorio della penisoletta, dove si formò una nuova città (Neapoli). Tra la Paleopoli e la Neapoli rimase il vecchio muro divisorio. Alla fine del V secolo il siracusano Dionisio I, in lotta con Cartagine, tentò l'assalto alla città ma questa resistette. Però nel 277 essa, inspiegabilmente debole, cadde nelle mani di Pirro che la tenne un anno.
Panhormus romana (254 a. C. - 491 d. C.). Scoppiato il conflitto egemonico tra Roma e Cartagine (264), si combattè in Sicilia per terra e per mare. Panormo, porto di notevole valore strategico, fu uno dei cardini della contesa. Nel 258 fu assediata vanamente dal console romano A. Attilio. Quattro anni dopo fu però costretta ad arrendersi ai rinnovati attacchi dei Romani che poi, nel 251, frustrarono un poderoso attacco del cartaginese Asdrubale.; Sotto i nuovi conquistatori, la città mantenne una vita attivissima, fu libera ed immune, ma non mutò sostanzialmente il suo impianto urbanistico. Le case di piazza Vittoria attestano la splendidezza del patriziato romano dominatore.
Palermo bizantina (535-831 d. C.). A metà del v secolo la Sicilia è corsa dai Vandali di Genserico; anche Palermo è messa a sacco dopo disperata resistenza. Gli Ostrogoti la occupano nel 491 e la fortificano saldamente. Nel 535 i Bizantini di Belisario spingono le loro navi sotto le mura della città e sopraffanno i Goti. Segue un periodo di relativa sicurezza. La Chiesa romana allarga in Sicilia la sua influenza e rafforza il suo patrimonio. Panormo è posta da Gregorio Magno a capo dell'amministrazione dei beni della Sicilia occidentale. Nella città si fondano tre conventi ed un ospizio. Palermitano è il papa Sergio, vissuto verso il 672.
Palermo musulmana (831-1072). Nell'827 la espansione musulmana, favorita dalla discordia dei dirigenti bizantini investa la Sicilia. Nell'831 le armate dell'Islam attaccano Palermo che si difende disperatamente ma è costretta a cedere per fame e per peste. Con i nuovi conquistatori, la città assume, in Sicilia e nel Mediterraneo, un ruolo eminente; accoglie stranieri di ogni nazione, moltiplica i suoi abitanti, sviluppa la sua industria ed i suoi commerci. Vi risiede l'emiro la cui dipendenza dal califfo d'Africa è solamente nominale; egli ha poteri civili, militari e giudiziari.' Amministra la città un consiglio municipale formato da musulmani d'antica e recente nobiltà mercantile. I vinti non sono oppressi, anzi l'emiro richiede il loro appoggio nell'incessante lotta con la nobiltà ricca e invadente. Quando l'equilibrio si spezzerà in favore di quest'ultima, sarà lo sfaldamento dello stato musulmano e prevarranno i conquistatori normanni. Palermo ha in età islamica impetuoso sviluppo. La città antica è insufficiente a contenere l'accresciuto numero degli abitanti che ascendono a 300 mila. Al di là dei due corsi d'acqua e dell'insenatura del porto, in meno di un secolo, sorgono case, palazzi, edifici pubblici e diecine di moschee. Alla metà del x secolo i quartieri di Palermo sono i seguenti: 1) II Cassaro (al-Qasr) cioè il quartiere del castello: è la città vecchia con nove porte, percorsa in lunghezza dalla omonima via lastricata, rigurgitante di mercanzie. Vi abitano i nobili ed i ricchi mercanti e vi hanno sede l'amministrazione cittadina e le pubbliche scuole. 2) La Kalsa (al-Hàlisah) cioè l'eletta, quartiere fortificato, sede dell'emiro, delle sue truppe, degli uffici governativi, dell'arsenale e delle prigioni. Sorge ex novo nel 937-38 per tenere in rispetto la prepotente nobiltà del Cassaro. 3) I quartieri sud-orientali, compresi all'incirca nel perimetro di via Porta di Castro, via Schioppettieri, il basso Cassaro, via Cinturinai, corso Garibaldi, corso Tukòry e la Porta di Castro. Non sono fortificati ed hanno carattere mercantile. 4) II quartiere degli Schiavoni, al di là del Papireto, che si estende fino al mare. Vi si affollano gli Schiavoni, famosi pirati assoldati dagli Arabi per le scorrerie nella penisola italiana. Vi tengono altresì i loro fondachi i mercanti genovesi, amalfitani, pisani, veneziani, ecc. Palermo s'è formata e rimarrà sostanzialmente immutata per quasi un millennio.
Palermo normanna (1702-195). A principio dell'XI secolo il dominio musulmano in Sicilia vacilla. Bizantini, Pisani e Normanni vi fanno frequenti scorrerie e saccheggi. Nel 1061 i Normanni vi sbarcano in forze e nel 1063 danno man forte ai Pisani, che forzano il porto di Palermo rompendone la catena che lo chiude e fanno ingente bottino che destinano alla fabbrica del loro Duomo. Nel 1072 Ruggero e Roberto il Guiscardo prendono Palermo dopo cinque mesi d'assedio. Nel 1091 tutta la Sicilia è nelle mani dei prìncipi normanni che se la spartiscono e vi instaurano il regime feudale, primo germe della sua decadenza. Palermo è ancora splendida sebbene il piccone dei nuovi dominatori abbia demolito le numerose moschee; vi fioriscono il commercio, le industrie e la cultura. Il conte Ruggero, morendo nel 1101, lascia al figlio Ruggero uno stato ben governato e questi può assumere nel 1130 la corona regia. Sulla Paleopoli si fortifica il palazzo che era servito agli emiri prima di trasferirsi alla Kalsa; in esso due torri munitissime fanno fede della potenza dei monarchi normanni. Presso la corte è un opificio di stoffe seriche ed uno stuolo d'artisti edifica l'incantevole Cappella Palatina. Un estesissimo parco regio abbraccia la città: in esso sono palazzi e luoghi di diletto, fra i quali la Zisa, la Cuba e la Favara. La Chiesa riassume gli antichi privilègi e molti altri ne conquista infeudandosi. Sorgono innumerevoli le chiese e i conventi; si edificano i duomi di Monreale e di Palermo. Le ricchezze di tanti secoli d'intensa attività impinguano i nuovi dominatori che coltivano le arti. I musulmani, che sono ancora l'anima di ogni attività cittadina, sfollano il Cassaro ed occupano il vecchio quartiere degli Schiavoni chiamato ora Seracaldi dalla maggiore via che l'attraversa. Nella depressione attorno alla Cala sono ancora i mercanti delle città marinare italiane: ivi è la Amalfitania. Più a nord viene rafforzato il castello a mare, già eretto in età islamica a difesa del porto. I quartieri di sud-est si amalgamano costituendo quello dell'Albergaria, contiguo alla Kalsa; gente di parecchie lingue, variamente dedita al commercio, popola ancora la città. Finché è re il forte Ruggero, la monarchia è salda; alla sua morte (1154) la nobiltà feudale ricca e potente ne insidia l'autorità. Maione di Bari, ministro di Guglielmo I, s'adopera a rafforzare il vacillante prestigio del suo re, ma è assassinato da Matteo Bonello-, signore di Caccamo. Guglielmo II (1166-1189) accoglie quell'eredità compromessa ed avviata a rovina.
Gli Svevi (1195-1266). La dinastia normanna è esautorata e senza eredi diretti, allorché il Sacro Romano Impero di nazionalità germanica è all'apice della potenza. Arrigo VI sposa Costanza, figlia di Ruggero II e, dopo la morte di Guglielmo II (1189), cala in Sicilia. Gli si oppone Tancredi ma è vinto. Medita a Messina la conquista dell'Oriente quando la morte lo coglie ancor giovane (1197). Declina la fortuna imperiale in Italia ed in Sicilia e va in auge quella papale. vincoli feudali dell'isola al Pontefice vengono rafforzati e gli viene versato un tributo annuo di mille marchi d'oro. futuro imperatore, Federico II, è sotto tutela papale e raggiunge la maggiore età nelle raffinatezze della Corte palermitana, tra le cure speciali dei canonici della Cattedrale. Ma Federico è ligio alla causa degli avi e promuove il ripristino dell'impero germanico. Lotta contro il papato e reprime la nobiltà tenendola a bada dai suoi munitissimi castelli. Alla sua corte di Palermo accorrono gli spiriti più illuminati dell'epoca, vi nasce una nuova cultura e vi fiorisce una raffinata scuola poetica siciliana. Palermo rinnova i suoi traffici ed il suo volto; una fascia di mura la recinge e la pone in permanente assetto di guerra. Essa è tuttavia estenuata e, con la morte dell'imperatore (1250), si avvia a perdere il suo ruolo mediterraneo.
Dominio angioino (1266-1282) e regno aragonese autonomo (1282-1409). A frustrare i propositi di restaurazione imperiale, il Papa chiama Carlo d'Angiò che batte Manfredi (1266) e Corradino (1268) ed instaura un regime vessatorio per la nobiltà indigena e per il popolo. Palermo accentua la sua decadenza e cede a Napoli il ruolo di capitale. Nel 1282 insorge compatta nelle celebri giornate del Vespro e caccia i Francesi col furore dell'esasperazione. Ma i nobili mal tollerano quello slancio popolare e sollecitano l'appoggio dei forti monarchi aragonesi a garanzia dei loro privilegi. La lunga guerra del Vespro (1282-1302) arreca il dominio aragonese ed un generale infiacchimento economico. La Sicilia, staccata dal Mezzogiorno d'Italia, è ormai nell'orbita spagnola, dapprima come regno vassallo e quindi, dal 1409, come dominio diretto degli Aragonesi. La feudalità locale, potentissima, stronca ogni velleità autonomistica delle città siciliane, mentre il commercio, al decadere del mondo arabo e bizantino, si sposta verso il centro e l'occidente d'Europa. La Sicilia non è più che un mercato d'importazione e, col Mezzogiorno d'Italia, è un passivo elemento di storia. Palermo è per un secolo in signoria dei Chiaramente che tengono a bada la nobiltà catalana e sfidano il potere regio. Ma Martino il Giovane riesce a fiaccarli e l'ultimo dei Chiaramente, Andrea, lascia la testa sotto i muri del suo castello palermitano. La città, che è andata spopolandosi, subisce una inesorabile involuzione economica ed un periodo di stasi ed assestamento urbanistico.
Palermo spagnola (1415-1713). Nel 1415 arriva in Sicilia il primo viceré; da allora per tre secoli la Sicilia beneficia di una relativa calma. Il baronaggio siciliano, garantito nei suoi privilegi dal riconoscimento sovrano, è ligio alla mo-narchia. Il governo dispone d'altro canto di una organizzata burocrazia e di un terribile strumento d'assolutismo : il Santo Uffizio. Gli ordini religiosi accumulano ricchezze e patrimoni immensi ; le loro laute rendite moltiplicano il numero e l'importanza dei conventi, delle chiese, dei ritiri, degli oratori, degli istituti di redenzione e d'istruzione, dei ricoveri per vecchi, infermi, orfani, eco. Sono nelle loro mani le fila della società. Gareggiano nell'edificare sontuose chiese e spaziosissimi edifici religiosi. Palermo è tutto un cantiere; vi si innalzano monumenti mai visti, strutture gigantesche e si chiamano da ogni luogo artisti, scalpellini, marmorari, stuccatori, decoratori. Marmi siciliani ed esotici, pietre dure e preziose, bronzi ed ori fasciano fastosamente l'interno degli edifici ed inducono allo stupore. La municipalità non vuole essere da meno in tale corsa al fasto e si dissangua nell'acquisto della fontana pretoria. Il governo viceregio, sedate le prepotenze baronali, destina somme ingenti al rinnovamento della capitale siciliana che muta sensibilmente il suo volto. La cerchia delle sue mura è ampliata e rafforzata tra il 1536 e il 1572; il castello a mare diviene imprendibile. Nella seconda metà del '500 si prolunga il Cassare fino al mare, si attua il pròsciugamento del Papireto e il deviamento | nell'Oreto delle acque del Kemonia. La città migliora in tal modo le sue condizioni igienico-sanitarie e sutura con nuove costruzioni i suoi più antichi quartieri. Il porto viene riparato da un braccio di molo a meridione e da un altro, lungo 470 m., a settentrione, opera imponente che richiede il concorso dei tecnici genovesi. Ai primi del '600 si taglia la via Maqueda che lega a sé il destino urbanistico della città che si svolgerà necessariamente lungo il nuovo asse. All'incrocio della strada vecchia con la nuova, si edificano quattro meravigliosi cantoni, opera dell'architetto viceregio Giulio Lasso. I nuovi sontuosi palazzi sono la cortina d'oro agli oscuri tuguri che s'accumulano alle loro spalle e che sono abitati dalla plebe affluita in parte dalla campagna inospitale o immiserita in secoli di inattività e di regresso sociale. Pestilenze e carestie la falciano a periodiche ricorrenze; nel 1575 una terribile peste ne uccide migliaia e nel 1592 ne muoiono di fame ben 13 mila. A volte essa trova la forza di rivoltarsi ma è sanguinosamente repressa. Nel 1647 Giuseppe d'Alessi trascina nel celebre moto popolare anche gli artigiani e qualche professionista; ma l'esito è sempre negativo.
Savoiardi Austriaci e Borbonici (1713-1860). Del breve regno sabaudo (1713-1718) non rimarrà che il ricordo della vistosa incoronazione a Palermo di Vittorio Amedeo. Dopo una fugace dominazione austriaca (1720-1734), è lo spagnolo Carlo III (1734-1759) che torna a governare la Sicilia, non più stato vassallo della Spagna ma stato autonomo nel Regno di Napoli. Il suo paternalismo è in realtà condiscendente debolezza verso il baronaggio che attraversa la sua epoca d'oro. La nobiltà erige a Palermo palazzi splendidi come reggie e nel suo agro casine dì favolosa bellezza. Il Parlamento invigila contro ogni attentato regio al privilegio baronale ed ecclesiastico. Sotto il successore Ferdinando IV (1759-1825), il fronte dei baroni resta compatto anche all'attacco che ne tenta l'illuminato viceré Caracciolo (1781-1786) : tuttavia questi riesce a sopprimere il tribunale del Santo Uffìzio (1782), avvia un censimento ed un catasto per meglio distribuire l'imposizione fiscale, attribuisce allo stato l'istruzione superiore, promuove lo studio delle scienze fisiche e naturali coll'istituzione di un Orto Botanico, di un laboratorio di chimica, di un teatro anatomico, ecc. È una pietra lanciata nelle acque stagnanti della cultura retriva della Palermo settecentesca. Caracciolo ha acuito il contrasto tra il governo napoletano ed il baronaggio isolano; l'antico equilibrio dei tempi di Carlo III è definitivamente spezzato. Il fronte del privilegio osteggerà l'assolutismo regio e promuoverà la rivolta. La rivoluzione francese provoca l'irrisione di una cultura codina, le maligne odi del Meli e la riforma costituzionale del 1812: il feudo è trasformato in allodio nelle mani dei medesimi proprietari. Ma la Corte napoletana non disarma e nel 1814 fa della Sicilia una provincia del regno e vi nomina un luogotenente. E la lotta aperta scoppia ad intervalli più o meno lunghi di tempo : rivoluzioni del 1820, del '48 e del '60. Il popolo vi prende parte e si scuote dal secolare torpore; la sua marcia è iniziata ed esso è finalmente soggetto attivo di storia. Nella città non avvengono sostanziali mutamenti urbanistici in tutto il periodo di dominazione borbonica. Nella folta popolazione dei malsani quartieri popolari il colera miete, nel 1827, ben 25 mila vittime.
Palermo dall'unità all'autonomia (dal 1860). Acquietatosi lo slancio dell'epopea garibaldina, la convivenza della Sicilia nello stato italiano non è né agevole né pacifica: nel settembre '66 Palermo è teatro di sanguinosi moti antigovernativi. Ciò nonostante vi si sviluppano una timida borghesia mercantile ed una embrionale attività industriale. La città, da più di mezzo secolo in abbandono e seminata di rovine per le lotte garibaldine del '60, inizia nel medesimo anno il risanamento delle sue ferite e si prepara ad un più intenso sviluppo. I nuovi progetti urbanistici votano a morte il vecchio pittoresco organismo urbano e vi sostituiscono un nuovo ordine reticolare astratto; si abbattono i baluardi che recingono la città, varie porte anche monumentali, interi isolati, diecine di monumenti del '600 e del '700, di un'età ritenuta di traviamento artistico. Nuovi quartieri ad edilizia intensa serrano da presso la vecchia città; la costruzione quasi contemporanea di due imponenti teatri, il Massimo e il Politeama, impegna severamente le finanze cittadine. Tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del nuovo secolo nasce la via Roma con la schiera dei suoi palazzoni da parata. Tra una guerra e l'altra, Palermo non subisce sostanziali mutamenti. Durante l'ultimo conflitto però il suo corpo è squarciato dai reiterati e massicci bombardamenti che ne sfigurano ulteriormente il volto. Divampa quindi la lotta separatista che, al suo rifluire, genera l'autonomia regionale. Palermo nel 1947 diviene sede del governo e dell'assemblea regionale.