Cripta delle Repentite - Palermo da vedere

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Visita la Cripta delle Repentite

Le tombe segrete delle prostitute diventate monache.  E’ una cripta che custodisce i segreti di uno dei luoghi più curiosi e affascinanti della città antica: il convento cinquecentesco di Santa Maria la Grazia, meglio noto come convento delle Repentite, le prostitute convertite alla vita monastica e mantenute dalle cortigiane in servizio attraverso un’imposta pagata al Senato palermitano, una sorta di “porno-tax” ante litteram. Il tributo non era obbligatorio, ma doveva essere versato se le prostitute volevano vestirsi come le “donne oneste”, senza gli abiti che erano segno della loro condizione di peccatrici. Dimenticata da secoli, la cripta è tornata alla luce casualmente nel 2005, durante lavori di ristrutturazione dell’ex complesso religioso di via Divisi, oggi destinato a dipartimenti universitari. Eliminando le piastrelle del pavimento e il sottostrato per ristrutturare i servizi igienici vicini a un’aula, si è reso evidente il volume di una volta, e quindi si è fatto largo il sospetto che esistesse ancora la vecchia cappella sotterranea. L’intuizione si è rivelata fondata. Una volta rimossi quintali di terriccio e di materiali di risulta forse esito di precedenti lavori compiuti intorno al 1960, la cripta, grande circa sedici metri quadrati, è venuta alla luce. E ha rivelato il suo tesoro: un magnifico altare seicentesco, la tomba della Madre Badessa e le panche dove venivano appoggiati i corpi delle defunte secondo un'antica tradizione religiosa che – come nel convento dei Cappuccini - prevedeva il prosciugamento dei cadaveri prima della sepoltura. La cripta è stata adesso restaurata da Simona Panvini, sulla base di un progetto firmato da Enrico De Mattei e condotto sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza ai Beni culturali e ambientali della Regione siciliana. La tomba della Madre Badessa è identificata da una lapide di marmo in cui è incisa la scritta: “In questo sepolcro giace il corpo della Reverenda Madre Santa Ignazia di Gesù Squatrito quale nacque al 1706, si chiamò nel secolo Donna Maria Squatrito, morì di anni 76 l’8 aprile del 1782”. Come per la protagonista del romanzo “Dell’amore e di altri demoni” di García Márquez, del suo corpo è stata ritrovata soltanto una lunga ciocca di capelli, insieme con due ampolle di vetro che custodiscono messaggi ancora sconosciuti, probabilmente di affidamento e raccomandazione al Signore. Le ampolle sono oggi all’Istituto di Patologia del libro di Roma, perché l’estrazione delle pergamene è una procedura molto delicata: gli specialisti temono che possano danneggiarsi a contatto con l’ossigeno dopo tre secoli, e sperano di poterle recuperare e leggere integralmente. La lapide, trovata tra i resti della sepoltura, è stata adesso ricollocata sul pavimento della cripta. L’altare seicentesco è affiancato da mattonelle originali che riproducono San Francesco e presumibilmente Santa Chiara, o forse la fondatrice del convento. Le due figure sono inginocchiate ai piedi della Croce, alla base della quale sta un teschio simbolo dell’omnia vanitas, cioè della caducità del corpo di fronte alla morte. La figura femminile tiene in mano una pisside con dentro l’ostia, e sull’ostia è disegnata una piccola scena di Calvario, probabilmente simbolo di pentimento. Tutt’intorno, le panche dove venivano appoggiati i corpi delle defunte, sovrastate da mattonelle di maiolica che sono state ritrovate, pulite e ricollocate al loro posto. Dalla cripta si apre una seconda botola dove si trova la fossa comune delle altre monache, che è stata parzialmente esplorata. Numerosi crocifissi di metallo sono stati scoperti in mezzo al terriccio scavato. E’ emersa pure la scala originaria di ingresso alla cripta, che è stata consolidata e viene adesso nuovamente utilizzata per accedere all’ambiente sotterraneo. La storia delle Repentite (cioè Ree pentite) è estremamente affascinante, oltre che curiosa: queste ex cortigiane che si erano ritirate a vita monastica venivano infatti mantenute dal Senato palermitano con i ricavati di un’imposta che le prostitute in servizio dovevano pagare se volevano vestirsi – al pari delle donne oneste – con abiti di seta e di oro. Il convento, in realtà, fondato nel 1524 da suor Francesca Leonfante, fu abitato in origine da monache olivetane. Ma, morta la fondatrice e passate in altri conventi le religiose, l’arcivescovo stabilì – come racconta Gaspare Palermo – che “in quel luogo venissero raccolte le donne che dal pentimento de’ loro trascorsi potessero chiamarsi Ripentite”. La chiesa, con il prospetto su via Divisi, fu costruita nel 1512 dal chierico Vincenzo Sottile e abbellita tra il 1697 e il 1698. Del complesso sono ancora visibili la facciata con il portale e le finestre goticheggianti, alcune colonne originarie e, sul soffitto di un’aula, le ricche decorazioni pittoriche di quella che era la navata della chiesa.

Tratto da http://www.unipa.it/cittaateneo/repentite.html
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